flyandjoy

Veliu Vanessa

Aeroclub: FlyAndJoy (UD)
Licenza del: 2014

Pilota a 16 anni

Era nella primavera del 2014 quando, per la mia classe di giovani aeronautici dell’istituto tecnico A. Malignani di Udine, veniva il turno della giornata di volo.
Eravamo un po’ tutti emozionati ed eccitati perché si trattava della nostra prima uscita al secondo anno
di scuola superiore, che alla fine risultò essere la primissima occasione offerta dalla scuola di farci dare
un occhiata a quello che è la nostra grande passione: gli aerei.
Ma più di tutto, quel giorno, non ci attirò il grosso e pesante aereo da traino rosso o i piccoli
ultraleggeri parcheggiati nell’hangar dell’aviosuperficie; i nostri occhi curiosi finirono immediatamente
rapiti dallo strano velivolo ‘appeso’ sopra le nostre teste.
A bocca spalancata guardavamo su e notavamo la sua grande apertura alare (quasi raggiungeva
la larghezza dell’hangar!), le superfici aerodinamiche, la sua bianca verniciatura e, ciò che spaventava
forse di più, la sensazione di leggerezza e levità che trasmetteva.
A quel punto allora, con fare un poco impaurito, chiesi: “Ma noi, dobbiamo volare con quello?”.
Di lì incominciò la mia vera avventura nel volo a vela. Ho un bellissimo ricordo di quella giornata. Prima legati alla coda di un aereo troppo rumoroso per un tempo noiosamente lungo e poi ad un tratto uno
scatto della gialla manopola rotonda percepito sulla mia sinistra e il silenzio più totale.
Un silenzio mai provato, le mie orecchie cercavano invano qualche suono ma vi erano solo quello dell’aria e il battito del mio cuore, troppo impegnato a stare dietro alle sensazioni nuove che mi scaturivano da quell’immenso tacere. Poi sento il pilota dire qualcosa e ciò che segue sono molte capriole, tanta terra al posto
del cielo e il triste e inesorabile ritorno al campo con le comunicazioni radio.
L’atterraggio fu un po’ movimentato su un campo d’erba molto simile a quello su
cui correvo da piccola per sfuggire da chi contava a nascondino.
Lo stesso giorno, follemente innamorata di tutto ciò che mi stava attorno, mi precipitai nell’ufficio del presidente del Club e ottenni un lavoro per l’estate ormai prossima. In breve diventai il piccolo “capo” (avevo
15 anni) di quello che venne chiamato il “Minuto Mantenimento” del campo di volo. Oltre ad aggiustare
staccionate sotto il sole di Luglio, ogni tanto capitava anche qualche revisione o manutenzione dei velivoli
del campo seguita dai tanto desiderati “voli officina” che aspettavo sempre con molta eccitazione.
Dopo un’estate sapevo tutto, conoscevo ogni angolo della piccola aviosuperficie, sistemavo le chiavi inglesi al
loro posto e rimontavo i carter dopo le manutenzioni; avevo stretto forti legami, che tutt’ora mantengo, con
i due grandi manutentori che si occupano dei velivoli del club, i quali devo ringraziare per tutto ciò che ora
so, è merito loro.
Ripresa la realtà scolastica mi trovai un po’ disorientata e aspettavo i weekend per poter tornare in hangar
a dare una mano. Nello stesso tempo però mi davo da fare più che potevo a scuola per la borsa di studio che
tanto bramavo, quella per il conseguimento del GPL (Glider Pilot License); e così, tra libri e aerei da pulire, nell’ottobre dello stesso anno presi la grande decisione: incominciai il brevetto in attesa della borsa di
studio.
Il 4 ottobre volai per la prima volta da allieva e non so spiegare cosa provai.
Altro che viti e bulloni, chiavi o cricchetti, libri e compiti in classe.
Quella era tutta un’altra scuola.
Una scuola in cui il “maestro” non alza la voce perché il silenzio non manca mai, una
scuola di traini pesanti, all’inizio tanto complicati da inseguire; venti al traverso, decolli troppo alti e atterraggi troppo corti con la solita scusa: “Ho paura che la pista finisca”.
A 16 anni riuscire a pilotare un aereo non è una cosa da poco, ti fa sentire molto più adulto
di quello che sei.
La soddisfazione per aver ottenuto un risultato desiderato da sempre
Le termiche in pianura
Impari in fretta: il vento è forte e dispettoso, ti colpisce quando meno te l’aspetti; pure il traino non è da
meno, appena esci dalla sua scia ti prendi uno strattone che gli insulti del trascinatore li senti anche senza
radio; piede e barra insieme per la virata altrimenti viene scoordinata; nel sottovento mantieni la velocità altrimenti rischi di farti male e in atterraggio non richiamare troppo presto o troppo tardi altrimenti ti
metti a saltellare come un canguro. Insomma all’inizio sono tantissime cose difficilissime, le mani sono
sudate, si ha un forte mal di testa che è un misto tra euforia, concentrazione mantenuta troppo a lungo e
tante emozioni tutte in una volta.
L’esame teorico passa da sé, in un aula un po’ troppo formale, tutti chini e impegnati a compiere un altro
passo avanti verso il sogno del volo.

Insegne